Il Bosco Belvedere

L’area agricola del Salento nota con il toponimo di Paduli è delimitata da una linea quasi ellissoidale di circa 40 km, che si estende da Scorrano a Miggiano.

Fino a circa centocinquant’anni fa era invece conosciuta con il toponimo di Bosco di Belvedere, una foresta plurimillenaria risalente al periodo post-glaciale. Estesa per circa 7 mila ettari, copriva l’area di sedici comuni del cuore meridionale del Salento con una superficie di oltre 32 km2 Era un’area ricca di ecosistemi che andavano dal bosco alla gariga, dalle paludi e stagni alla macchia mediterranea. Ancora oggi le acque provenienti dalle serre convogliano in quest’area attraverso ramificati canaloni, spesso fiancheggiati da una ricca vegetazione. I primi documenti storici che ne attestano l’esistenza risalgono al 1476; infatti, il Bosco Belvedere è contenuto nell’inventario del feudo di Supersano redatto per i Principi Gallone di Tricase, ai quali appartenne per quasi trecento anni (precedentemente fu di proprietà dei Castriota, baroni di Parabita). Nel 1851 venne eseguita l’ordinanza di divisione del patrimonio boschivo fra i comuni che vi esercitavano gli usi civici e, dopo un’annosa contesa con la potente famiglia nobiliare detentrice del Bosco, il territorio fu assegnato ai diversi municipi. Con questo atto di divisione si segnò l’inesorabile distruzione della foresta e, in pochi decenni, quanto era sopravvissuto agli incendi e ai tagli illeciti, venne rapidamente eliminato per far spazio alla cultura arborea emergente: l’olivo.

Numerose ricerche storiche e archeologiche attestano che questa grande foresta è stata per millenni fonte di sostentamento per le popolazioni che vi vivevano a ridosso, così come evidenziato dalla scoperta di un villaggio del VI VII secolo d.C. in località Scorpo presso Supersano.

Nel fitto bosco prosperavano, non coltivate, piante come “il prugnolo, il corbezzolo, il melo, il pero, l’apuzia, la selvaggia vite, il sorbo, il nespolo” e vi trovavano asilo volpi, lepri, conigli, tassi, istrici, ricci, faine, martore e puzzole, senza che mancassero “i voraci lupi e i cinghiali, di cui l’ultimo fu ucciso nel 1864, anno in cui il bosco era ridotto quasi a metà”, come racconta lo scienziato ottocentesco Raffaele Marti. Questo immenso latifondo di querce, tra cui il farnetto, la roverella e la virgiliana, includeva anche olmi, lecci, castagni, il frassino maggiore, il carpino bianco e piante e fiori del sottobosco e della macchia mediterranea quali alloro, corbezzolo, lentisco, mirto, viburno, pungitopo, rosmarino, gelso, rose di San Giovanni e senza che vi mancassero mele, pere, sorbe, nespole, uva allo stato selvatico. Il bosco garantiva cospicue rendite per gli ‘usi civici’ concessi dai Principi mediante il pagamento dei diritti di ‘fida’ quali concessione per la pesca, la raccolta di frutti e legna, di giunchi e canne palustri, la coltura di lino e canapa, l’allevamento di pecore e suini, assieme alla produzione di carbone, dell’erbaggio, delle ghiande per i maiali, l’uso della mortella e altre piante medicinali, nonché il diritto di caccia di volatili.

Dai primi anni del ‘700 fino alla fine dell’800 questa antichissima e preziosa riserva naturale andò man mano restringendosi fino a quasi estinguersi per dar spazio alle colture al punto che l’Arditi, nel 1879, scriveva: “Era questo forse nella Provincia il bosco più vasto e vario per essenze arboree, ma oramai non rimangono più di arbustato e di ceduo se non poche moggia a Nord-Ovest verso Supersano; tutto il resto è ridotto a macchia cavalcante od a terreni coltivati a fichi, vigne e cereali”. Restano oggi poche ‘isole’ di quello scrigno di biodiversità e naturalezza. Nel 1877 Cosimo De Giorgi scriveva: “Non è senza il massimo dolore ch’io osservo di anno in anno cadere atterrate al suolo quelle querce maestose che hanno sfidato per tanti secoli le ingiurie del tempo, dell’atmosfera, degli uomini e degli animali. La falce e la mannaia livellatrice del boscaiolo segnano intanto, inesorabili su questa via di distruzione […]”.

Attualmente la Provincia di Lecce ha appena l’1,3% della superficie agraria, boscata, detenendo uno degli ultimi posti nelle graduatorie relative alle aree boschive.

Bibliografia citata

Raffaele Marti, L’estremo Salento, Lecce 1931, pp. 21-23.

Donatella Lala De Giorgi, L’archivio del Principi Gallone Ed. Dell’Iride Tricase 2001

Giacomo Arditi, Corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, rist. an. Lecce 1994, p. 65. L’Arditi aveva conosciuto nelle sue varietà e bellezza il Bosco perché, nel 1851, aveva ricevuto l’incarico di tracciarne la mappa e stabilire la divisione in quote tra le parti interessate.

Michele Mainardi, Il Bosco di Belvedere, «Lu Lampiune», a. V, n. 3, 1989, p. 108

Aldo De Bernart, Torrepaduli scomparsa in A. De Bernart-M. Cazzato-E. Inguscio, Nelle Terre di Maria d’Enghien, Galatina 1995.

Paul Arthur, Girolamo Fiorentino, Marco Leo Imperiale, L’insediamento in Loc. Scorpo_Supersano, Archeologia Medievale XXXV, 2008, pp. 365-380 (vedi sezione Approfondimenti).

Roberto Gennaio, Biagio De Santis, Piero Medagli, Alberi Monumentali del Salento, Congedo Editore, Lavello 2000.

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